I MISTERI DEL PLACEBO
Hróbjartsson A e Gøtzsche PC, CochraneLibrary, 2004
Hall KT, Trends in Molecular Medicine, 2015
Il placebo può avere un effetto maggiore in alcune persone rispetto ad altre? Se così fosse, si potrebbe sfruttare questa tendenza per alleviare il dolore e per ottenere altri effetti terapeutici senza un trattamento attivo.
Non esiste una definizione universalmente accettata del termine placebo, ma la più utilizzata è quella descritta da Asbjørn Hróbjartsson e Peter C. Gøtzsche in una revisione della Cochrane Collaboration: “Negli studi i placebo sono generalmente trattamenti di controllo apparentemente simili al trattamento studiato, ma senza la sua componente essenziale. Si considera che l’effetto del placebo (ad esempio, una pastiglia di zucchero) non sia collegato con il suo componente essenziale (ad esempio, lo zucchero), ma sia dovuto all’interazione tra paziente e operatore sanitario associata al rituale del trattamento, ovvero al dare e al ricevere la terapia (ad esempio, la pastiglia). Tuttavia, il termine ‘placebo’ viene anche utilizzato per descrivere qualsiasi fattore mediato dalla psicologia che potenzialmente influenza la salute”.
Una revisione di Kathryn Hall ha messo in evidenza come le vie nervose regolate da neuritrasmettitori come la dopamina, gli oppioidi, gli endocannabinoidi e la serotonina aiutino a mediare gli effetti del placebo e che variazioni genetiche di queste vie possano giustificare la presenza di persone più o meno sensibili al placebo. Questa revisione suggerisce che la risposta al placebo sia più di un errore riportato dal paziente, di una regressione verso la media o di una remissione spontanea; le risposte al placebo emergono invece come valide risposte biologiche che dovrebbero portare ad un nuovo sviluppo farmaceutico e a nuove cure mediche. Questo processo richiederà anni o decadi, in quanto lo studio degli effetti del genoma sulla risposta al placebo, il cosiddetto “placebome”, è solo all’inizio.