La lombalgia acuta dura meno di quattro settimane ed è dovuta ad una lesione di una o più strutture del rachide lombo-sacrale. Si parla invece di lombalgia cronica quando i sintomi si protraggono per oltre tre/sei mesi e al danno biologico si mescolano aspetti sociali, comportamentali e psicologici.

La lombalgia acuta è la conseguenza di una lesione ai tessuti molli del tratto lombare, ma di norma, una volta esclusa la presenza di patologie più gravi, non è possibile individuare l’agente eziologico e quindi distinguere quali siano le strutture principalmente coinvolte, né con la valutazione clinica né con gli esami diagnostici.

Il processo di cronicizzazione, ovvero il passaggio dalla lombalgia acuta a quella cronica, avviene in circa il 5% dei casi ed è dovuta al prolungamento del problema originale: indipendentemente dal tipo di lesione, il tessuto danneggiato dovrebbe guarire entro massimo sei settimane; il dolore che perdura oltre questa soglia perde il significato di avviso di una lesione in corso e diventa di fatto controproducente.

I fattori di rischio universalmente noti come il sollevamento ripetuto di pesi o il mantenimento di posture scorrette hanno in realtà un debole impatto sulla cronicizzazione. I fattori che rivestono un ruolo importante sono invece quelli cosiddetti “psicosociali”, tra questi una scarsa soddisfazione lavorativa, un basso livello di impegno lavorativo, l’insoddisfazione per trattamenti precedenti o la presenza di un coniuge protettivo o che trascura.

Essendo le probabilità di risoluzione completa del dolore quasi assenti, l’obiettivo del trattamento è consentire al paziente il recupero della migliore qualità di vita possibile, guidandolo verso una corretta gestione del problema.