La valutazione posturale contribuisce alla cura del paziente?
Estratto da: Sahrmann SA. Does Postural Assessment Contribute to Patient Care? Journal of Orthopaedic & Sport Physical Therapy 2002:32(8); 376-378 (Referenze Bibliografiche n. 15).
Una delle poche soddisfazioni che la tarda età ci riserva è quella di veder confermare, a distanza di tempo, come perplessità che ci hanno afflitto molti anni prima non fossero prive di giustificazioni.
Nei primi anni sessanta, in un congresso di educatori fisici dedicato alla 'postura' mi sono creato non pochi nemici presentando una diapositiva che riportava una definizione del 'Nuovissimo dizionario della lingua italiana' che stabiliva l'equazione 'postura=impostura'. Ero molto irritato perché l'ottanta per cento di una modesta somma strappata all'assessorato regionale lombardo alla sanità era stato devoluto dal comune di Merone all'istituzione di corsi di ginnastica medica per 'i paramorfismi'. Si era in tempo elettorale, e i bambini erano più numerosi dei disabili.
Inoltre avevo appena finito di redigere un lungo elenco di affermazioni tratte da testi tecnici e 'scientifici', dove termini come postura e i suoi derivati erano utilizzati con tanti significati diversi e spesso contraddittori: in particolare l'aggettivo posturale, nelle locuzioni atteggiamento posturale (sic), controllo posturale, tono posturale, riflesso posturale, educazione posturale, rieducazione posturale … Mentre tutti i lavori seri (alcuni anche nostri) dimostravano l'estrema variabilità delle 'posture' individuali e, l'impossibilità assoluta di definire una 'postura ideale' da raggiungere con serie di lezioni, tanto più remunerative quanto più collettive. Postura ideale tra l'altro rilevata in una posizione di assoluta artificialità: non ho mai visto un bambino atteggiarsi sull'attenti se non per giocare o perché gli viene richiesto. E la Metheny ci avvertiva che in una 'postura' ognuno utilizza i suoi muscoli come più gli aggrada, in funzione dei suoi dati antropometrici e dei suoi obiettivi.
Per fortuna il termine 'paramorfismo', che pretendeva l'esistenza di qualcosa di definito in quella zona notoriamente indefinita di confine tra la 'normalità' e la patologia, ha poi fatto una fine ingloriosa.
Sharmann riconosce in questo lavoro le incertezze della letteratura, e ci conferma che ogni postura va definita con la descrizione dei rapporti tra i vari segmenti corporei in un atteggiamento mantenuto 'per un certo tempo': ovviamente tenendo conto del loro rapporto con lo spazio (gli angoli assoluti dei bioingegneri) e quindi con la gravità, rapporto dal quale dipende la selezione dei muscoli, o meglio delle unità motorie utilizzate per mantenerla.
Infinite posture, e quindi infinite posture ideali: ma dobbiamo anche precisare ideali rispetto a che cosa. Stabilità, sicurezza, funzione, estetica, espressività, e infine economia, non solo muscolare, ma anche di pressioni, specie articolari, e trazioni possono richiedere soluzioni 'ideali' diverse. Questo non vuol dire, naturalmente, che certe posture mantenute a lungo, soprattutto se complicate da carichi, non possano essere in qualche modo patogene. Le troveremo in caso di deformità, come le gravi scoliosi, che obbligano lavoro muscolare e carichi asimmetrici, e in alcuni gesti professionali, che non consentono variazioni nell'impegno muscolare e nella distribuzione dei carichi, delle pressioni e delle trazioni. Una certa esperienza con le lombalgia professionali, nell'ambito delle ricerche dell'EPM, l'unità di ricerca istituita dal Politecnico, dalla clinica del Lavoro e dal centro di bioingegneria di Milano, mi ha insegnato molto in questo senso.
Il fattore decisivo in questi casi è la durata della postura; il rimedio, quando possibile, è il frequente cambiamento di atteggiamento. Quante lombalgia mattutine al risveglio!