Autonomia e dipendenza
Estratto da: Rothstein JM. Autonomy and Dependency. Physical Therapy 2002:82(8);750-751 (Referenze Bibliografiche n. 2).
Fa molto piacere trovare esposte con tanta chiarezza e autorità alcune delle proprie vecchie idee, difese da tempo anche in climi spesso burrascosi.
Mi occupo di preparazione di fisioterapisti (tutto sommato è un buona cosa potere di nuovo utilizzare un termine che ci rende più agevole lo scambio di idee con le esperienze straniere che contano) da cinquanta anni esatti, da quando abbiamo organizzato all'Ospedale di Niguarda, a Milano, la prima scuola italiana di 'kinesiterapia', diventata presto scuola di fisioterapia. Ho partecipato all'operazione per tutto questo tempo, venendo a contatto con gli allievi di diecine di scuole sparse in tutta Italia, e grazie alla generosità dei loro direttori continuo a farlo oggi che le scuole sono diventate corsi di laurea, come da tempo auspicato.
E per cinquanta anni ho lavorato fianco a fianco con diecine di fisioterapisti, condividendo con loro entusiasmi e preoccupazioni per i risultati, non sempre all'altezza dei nostri desideri, del lavoro fatto insieme. Ho naturalmente incontrato fisioterapisti 'buoni' e fisioterapisti 'cattivi' (così come d'altronde medici buoni e medici cattivi), ma posso assicurare di aver ricevuto da parte della maggior parte di loro in quanto ad intelligenti verifiche della validità delle premesse teoriche e applicative delle loro tecniche di intervento e a condivisione di esperienze sul campo, molto più di quanto io avessi loro trasmesso.
Così, a parte le differenze insite nella grande diversità delle situazioni (basti pensare alle differenze tra le retribuzioni dei fisioterapisti americani, dovute alla forza della loro potentissima corporazione, e quelle dei nostri sottopagati fisioterapisti), non si possono non sottoscrivere le preoccupazioni destate nell'autore, un eminente terapista e studioso, dall'uso estensivo del termine autonomo, al di là della giusta richiesta di una libertà di pratica che consenta di usare 'liberamente' tutta l'abilità, l'esperienza e l'empatia con la persona presa in carico. E da noi, dove esiste fortunatamente una ricca disponibilità di fisiatri particolarmente convinti della necessità di una messa in comune delle rispettive competenze, l'autonomia dovrebbe essere intesa anche come la sintesi e l' integrazione delle due autonomie, dei medici e dei terapisti.
Mi piace rilevare una singolare concordanza con gli obiettivi dell'intervento riabilitativo, il cui scopo finale non è quello di ottenere a tutti i costi l'indipendenza (l'autosufficienza) del paziente, ma di consentirgli di raggiungere la possibilità di una scelta autonoma del suo progetto di vita, nei limiti consentiti dalle conseguenze dell'evento morboso. E, come ripeto spesso ai miei giovani allievi, prendiamo esempio da quello che riesce a fare un bambino di uno o due anni: assolutamente non autosufficiente ma anche completamente autonomo, in grado di fare quello che vuole servendosi delle sue inarrivabili capacità di manipolazione dell'ambiente familiare.